la riserva dello Zingaro

Era da molto tempo che desideravo visitare la riserva dello Zingaro e così ho finalmente fissato una data.
Ahimè non ho trovato nessuno con cui andare e così, come ho fatto già altre volte sono andato da solo.
Sono le sei in punto e parto mentre sta piovendo. La determinazione è tale che carico nel portabagagli anche l’attrezzatura da pioggia e quindi il parka impermeabile, il poncho e le ghette. Lo zaino è decisamente ridotto all’osso, un litro e mezzo d’acqua il mangiare, l’attrezzatura fotografica ed un k-way traspirante per ogni evenienza.
Arrivo all’ingresso della riserva alle 7,15 circa, pago il biglietto e mi avvio. Alla mia sinistra vedo un mulo impastoiato.


E’ l’unico mezzo di locomozione permesso. Già da subito si capisce il tipo di strada che mi aspetta, un sentiero che a definire scabro è poco. Sembra prevalentemente in salita, questo mi conforta per il ritorno, che “dovrebbe” essere prevalentemente in discesa, ma è solo una sensazione e me ne accorgerò dopo.
Il sentiero è continuamente attraversato da coniglietti e riesco malamente a fotografarne due, giusto per documentare l’avvistamento.



Ogni tanto mi fermo per mangiare un poco di uva passa e pinoli mentre bevo tre sorsi d’acqua con costanza, per limitare la disidratazione, non sapendo che ancora non avevo visto nulla!
Il panorama è stupendo ed il sole è ancora coperto.




Ogni tanto mi fermo per stringere gli scarponi, aggiustare lo zaino e consultare la cartina della riserva fornitami all’ingresso (è una fotocopia A3 dell’IGMI).
La strada scorre fluida,





ma in me si sta insinuando la sindrome del “ma quando arriviamo?”.




In lontananza vedo una traccia a mezza costa che sparisce dietro un promontorio sovrastata da un’antica torre di sorveglianza, ed è decisamente lontana.



Fortunatamente quella era la strada che portava all’ingresso lato Scopello della riserva e comunque circa 600 metri oltre il punto che avrei dovuto raggiungere.









Con sorpresa noto delle abitazioni private, alcune delle quali abitate, e mi domando questa gente come faccia per esempio a fare la spesa. Da questo punto all'ingresso della riserva ci sono quarantacinque minuti buoni di strada, e se ti dimentichi di comprare il pane… Boh, forse andranno via mare…



Lungo il percorso vedo moltissimi esemplari di palme nane, mentre attorno alle case piante di carrubbi, ulivi, fichi ed anche melograni.





Le prime anime vive che incontro è una coppia di napoletani alla grotta dell’uzzo. Subito dopo piego per il sentiero a destra che mi porta direttamente sulla riva del mare. Arrivo ad una splendida spiaggetta deserta (ancora per poco) e proseguo per questo sentiero che scorre quasi in riva al mare.











Percepisco l’odore della salsedine e già vedo l’arrivo. Incontro qualcuno diretto proprio alla candida spiaggetta vista poco prima ed in breve raggiungo l’area attrezzata, la tappa più ad ovest del mio itinerario.
Mi spoglio, mangio una barretta energetica (rivelatasi pessima) e trovo un rubinetto di acqua, dove sciacquarmi il viso. Sono le 9,30 Il sole è uscito e comincia a fare caldo.
Torno sui miei passi seguendo l’itinerario più a monte. Questo è più curato, c’è anche la segnaletica con il nome delle piante. Cespugli di Mirto e di Rosmarino mai visti così vasti (circa 3mt di diametro). Passo davanti all’ennesimo museo di arte contadina sistematicamente chiuso e mi siedo a riposare sotto un’ulivo. Poco dopo riprendo il cammino perché intendo fare una variazione sul percorso che dovrebbe portarmi su un sentiero più in quota. L’idea sarebbe quella di soffrire un poco arrampicandomi fino a contrada sughero e poi proseguire a mezza costa fino all’uscita lato Scopello della riserva. Pessima idea!
Arrivato al bivio piego a destra baldanzoso e comincio a salire. C’è decisamente caldo! Il termometro del mio Suunto segna 36°. Curva dopo curva so di avvicinarmi ai rifugi di c.da sughero, ma neanche un tetto in lontananza. Sono decisamente stanco, decido di dedicarmi una pausa più sostanziosa dei 5 minuti seduto su un masso.
trovo un punto all’ombra di una “Ddisa” (termine dialettale per l’Ampelodesma Mauritanico) mi levo lo zaino e mi siedo. Visto che non stò abbastanza bene, apro la shemag, lego due sassi all’estremità di un lato e li tiro alle mie spalle. Bene si è agganciata! Tiro verso di me le ginocchia e ricavo l’appoggio per il resto del telo improvvisato. Adesso posso riposare! Dopo neanche cinque minuti il mio sguardo cade sul lato sinistro dei miei pantaloncini, e proprio li vedo due animaletti appartenenti alla famiglia delle Ixodidae, insomma due zecche. Con la gentilezza del caso le caccio e capisco che non è più il caso di restare, mi alzo e comincio a controllare se anche lo zaino ha qualche gentile ospite. Mentre con attenzione guardo lo schienale, lo sguardo cade verso verso i miei piedi e vedo altri 2 animaletti che sono già all’altezza dei calzettoni. Uffa! Non se ne vogliono andare, anzi appena le tocco si appiattiscono e si aggrappano più tenacemente. Lampo di genio! Prendo il leatherman e con la pinza le tiro via.
Appena finito guardo l’altra gamba… anche li 3 animaletti sono sparpagliati tra lo scarpone ed il calzettone! Minkia non c’è pace! Termino velocemente le operazioni di bonifica, indosso lo zaino e parto. La cosa stà assumendo una proporzione preoccupante, mentre cammino me ne trovo altre sulle gambe. E se mi fermo a toglierle ne salgono altre. Comincio ad essere VERAMENTE stanco, mi metto dietro ad un tedesco sui sessant’anni che con un solo bastoncino sale come un mulo degli alpini e fischiettando pure! Finalmente raggiungiamo i rifugi di contrada sughero.
Altro non sono che delle vecchie case coloniche ristrutturate ed adibite a rifugi a pagamento (mi pare 5€ a persona) ma sfruttabili fino a maggio.
Mi metto all’ombra di due cipressi e mi levo lo zaino.
Minkia!!! Ancora zecche! Il terreno ne pullula! Il tedesco ne trova due sul calzino bianco, esclama “ach” le leva e riparte (sticazzi). Contavo di sdraiarmi e riposare un poco, ma qui non è possibile e decido di affrontare il sentiero a mezza costa sulla montagna.
Ma sto cazzo di sentiero non fa altro che salire salire salire, alla fine arrivo ad una biforcazione. Bene penso sono arrivato, adesso la quota sarà costante fino all’arrivo, continuiamo. Macchè! Il sentiero sale sale sale! Sono distrutto, appena mi fermo orde di zecche mi assalgono, sinceramente comincio a sentirmi perso. E’ quasi l’una ed il sole picchia come un maglio, saltellando tra un piede e l’altro per rendere difficile la vita alle mie compagne d’escursione, tiro fuori dallo zaino un succo, giusto per non attingere alla riserva d’acqua, e mi ritrovo compulsivamente a berlo tutto d’un sorso. Mi sento la pancia piena, e non è cosa buona per uno che deve camminare. Mi sforzo e riprendo a salire, salire saliure.
Dopo il centomillesimo scalone HAI! Una crampo! Prima alla gamba sinistra e poi a quella destra! Ecco chi mancava all’appello: i crampi!
Ma COME FACCIO A RIPOSARMI CON QUEST’INVASIONE DI ZECCHE?, faccio altri 100 metri con grande sforzo di volontà e poi capisco, sono in pericolo! Sono da solo, sotto il sole a picco, in una situazione decisamente scomoda. Le gambe mi stanno abbandonando e non so ancora per quanto dovrò salire. Faccio 2+2 velocemente e decido di non fare ulteriori esperimenti. Torno indietro.
E senza il minimo rimpianto, pur sapendo che quasi triplicherò la strada che mi resta da fare, pregando come un seminarista ritorno sui miei passi.
Dura, ah se è stata dura!
Raggiungo i rifugi, e trovo posto su quell’attezzo piantato a terra che serve per togliere il fango da sotto le scarpe prima di entrare in casa. E’ un equilibrio piuttosto precario, ma non vedo zecche che si arrampicano su per le scarpe. Bene è già qualcosa.
Mi guardo attorno e guardo con profonda libidine la pompa a mano collegata alla cisterna. Con spaventosa velocità mi levo tutto e l’aggancio al pomello della porta alla mia sinistra, quindi con due salti raggiungo la pompa, guardo per terra e mi accerto di non essere sottoposto ad un altro attacco, e ci do dentro di braccia.
La prima acqua esce marrone di ruggine ma subito dopo assume una colorazione decente, metto le mani a coppa e mi sciacquo il viso, aaaahhhhhhhh…
Prendo il cappellino e lo riempio e me lo metto in testa: grido di piacere!
Osservo la struttura di roccia e cemento che ospita la pompa. È una specie di lavandino molto artigianale con i bordi decisamente spessi, e sembra non ospitino zecche.
Mi ci arrampico sopra e mi siedo, appoggio i piedi sul muro della casa, anche perché appena li metto a terra… beh avete già capito.
Sono all’ombra per metà, sono quasi le 13 ed il sole, se l’universo non si ferma, non può che girare.
Ho l’acqua fresca (anche se non potabile), un trespolo sul quale riposarmi e tanto tempo…
Sinceramente avrei voluto dormire un pochetto, ma la posizione me lo impediva (ed io sono uno che dorme anche in piedi).
Ogni tanto pompo acqua e mi rinfresco, e così faccio passare quasi un ora e mezza.
Passa una coppia di spagnoli, vengono dalla parte alta del sentiero, quella da me abortita, gli chiedo se vogliono rinfrescarsi, cazzarò sono quasi le due e c’è un caldo da fornace, lui fa segno che ha la bottiglia nello zaino, io insisto dicendo che è per rinfrescarsi. Lui dice alla compagna se gradisce e lei, stronza ma come cazzo fa!, dice che stà bene…
Ok, mi sono stancato di stare sul trespolo come un pappagallo, qualche zecca trova comunque la strada delle mie gambe, ma è una situazione sostenibile.
Decido di scendere, e così faccio.
Non si può dire ce sia tornato fresco come una rosa, ma pian pianino riesco a terminare la discesa.
Adesso ho circa i due terzi dello zingaro da fare a ritroso.







E’ inutile dire che, avendo dato tutto prima, e non potendo riposarmi come di dovere (zecche, zecche , sempre zecche) il rientro è stato un calvario.
Però verso la fine ritrovo il “museo della manna”, con un bel battuto in cemento e pietra sul davanti.
Certo c’era qualche formica e tanti altri insetti, ma era libero dalle mie tanto appiccicose amiche (qundo si dice “sei come una zecca”). Insomma poso lo zaino, esco il k-way riposto a mò di cuscino, mi sdraio a terra ed a gambe alte mi faccio una mezz’oretta di riposo.
Bevo gli ultimi 3 sorsi d’acqua. Adesso non ce né più…
Riparto come un missile, saltello da un masso all’altro, supero un sacco di persone, ma rientro subito in riserva…
Guardo verso il mare e vedo gente che fa il bagno e barche che sfrecciano, “un passaggio un passaggio” penso, ma con le mie gambe sono partito e con loro devo tornare.



Insomma arranco per altri 40 minuti buoni ma poi, inaspettatamente vedo la galleria! Subito dopo c’è l’uscita.
Raggiungo l’auto, poso lo zaino, mi levo scarponi e calzettoni ed indosso un comodo paio di scarpe da tennis, quindi con la mia fidata shemag promossa al rango di asciugamano mi avvio alla fontana, dove mi rinfresco.
Quindi con passo deciso punto al bar, dentro il quale in lontananza vedo un bel Bacone frigo con tante tante bibite dentro..


considerazione tecniche:
maglietta della quechua: si è dimostrata veramente aspelli sudore. zuppa ma mai con la sensazione di un indumento bagnato addosso.
pessimi i pantaloncini con il gambale asportabile (sempre decathlon), troppo lunghi e quindi costantemente attaccati alla coscia. gli ho dovuto dare a più riprese 2 o tre giri per accorciarli.
zaino forclaz 40 AIR, stupendo! la schiena sempra asciutta, semmai bagnati zuppi gli spallacci.
scarponi Dolomite Gran Sasso (cooperativa Scout): non so, i piedi mi facevano male, ma il sentiero non era certo dei migliori, e li ho tenuti ai piedi per circa 10 ore sollecitando costantemente il piede.
calzettoni da trekking: estivi presi sempre alla coop scout. piedi asciuttissimi! stupendi, 8euro ben spesi!
cappellino con visiera: sarà stato il modello, ma mi dava realmente fastidio, tant'è che per un tratto ho indossato la shemag come un arabo, ma la gente che mi incontrava faceva facce strane...
shemag: utilissima! copre dal sole, asciuga il sudore e tutto quello che può fare un rettangolo di tessuto.
GPS: alla fine inutile. era tanta la luce che pur alla massima luminosità non si vedeva nulla. tra l'altro ho georeferenziato male le carte, tant'è che una volta mi sono trovato in mare a 200mt dalla riva...
accoppiata zaino macchina fotografica: pessima! con questo zaino non è possibile levare e mettere la mia macchina. troppo grossa.
mutande: non capivo la necessità di un capo intimo tecnico. finchè non ho cominciato a sudare come un facocero! ci vogliono ci vogliono... qualsiasi altra cosa si attacca, ti tira, ti schiaccia (avete capito cosa...)

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